Luciana Castellina
(Roma, 1929)
Iscritta al Partito comunista sin dal dopoguerra, nel 1969 è tra
i fondatori del gruppo de “Il Manifesto”. Deputata comunista
al Parlamento italiano dal 1976 per tre legislature, e dal 1983 al Parlamento
europeo.
[…] parlerò […] di lui nel mio vissuto.
Un vissuto di uno specifico gruppo generazionale, quello cioè della
Federazione giovanile comunista, che era estranea al Partito socialista:
non ne conoscevamo la vita interna, le vicissitudini, la cultura, gli
uomini. Ciò per
dire che la mia scoperta di Lelio Basso è stata molto tardiva,
nel 1967, ed è avvenuta, come per molti di noi, attraverso la
sua introduzione alle opere di Rosa Luxemburg: un vero e proprio libro-culto,
che ha rappresentato una pietra miliare della nostra formazione politica.
Questo è stato possibile perché stava maturando il '68
e quella pubblicazione, di un anno precedente, è stata quasi la
levatrice di quel movimento e gli ha dato l'impronta culturale determinante.
Non sarei in grado di immaginare il '68 senza quella introduzione e,
probabilmente, Lelio l’aveva scritta proprio in quel momento perché sentiva
maturare i processi, i fenomeni che poi sfociarono nel '68. Attraverso
Rosa Luxemburg Basso non solo ci ha fatto conoscere lei, con quella introduzione
ci ha fatto scoprire il marxismo revisionista, revisionista in termini
positivi, fuori cioè dal dogmatismo. Per noi è stato un
marxismo svelato, rivelato, nuovo, diverso da come l'avevamo conosciuto
e da come lo avevamo imparato; ha rimesso in contatto molti di noi con
le sorgenti vive del marxismo spezzando le catene del dogmatismo, come
mi sembra abbia scritto Norberto Bobbio. Per un insieme di coincidenze
storiche quella introduzione ha avuto un effetto dirompente proprio perché in
quel momento stava forse maturando la coscienza che […] l'accento
nell'azione non dovesse essere posto solo sul momento politico in quanto
la rivoluzione era e poteva essere soltanto l'approdo di un processo
storico, sociale, che nasce dall'interno della società e non dall'esterno.
Un elemento decisivo per il ‘68, per cui la predica con la quale
eravamo stati sempre ammoniti di guardarci dal doppio rischio del riformismo
e dell'estremismo, dal famoso doppio errore, non aveva più lo
stesso significato che gli avevamo attribuito: prudenza, accortezza,
fastidio rispetto all'eccesso (non siate opportunisti e non siate estremisti).
Veniva invece fondata sull'analisi della natura contraddittoria del soggetto
proletario, che per un verso è partecipe di questa società,
interessato cioè alla lotta quotidiana per il miglioramento "oggi
e qui" della sua condizione materiale; e per altro verso è soggetto
esterno a questa società, perché consapevole che al suo
interno non potrà ottenere ciò che vuole, e perciò ha
la necessità di tenere sempre insieme nell'azione politica i due
momenti dell'azione immediata e della prospettiva. Insomma, l'impossibilità di
espungere l'utopia e al tempo stesso però il richiamo al fatto
che questa utopia non è nulla se non è ancorata fino in
fondo alla conquista quotidiana.
Quello scritto ha avuto anche altri effetti; a partire da esso si è costruita
la tendenza allo spontaneismo che è stata una componente importante
nel movimento del '68, fino agli eccessi, soprattutto del movimento tedesco,
per cui veniva assunta la famosa frase di Rosa, che noi abbiamo conosciuto
attraverso Lelio: “viva i passi falsi del movimento operaio reale
perché sono sempre più fecondi e migliori dell'infallibilità del
miglior Comitato centrale”. Si è trattato di “interpretazioni
degenerative” poiché Lelio non era affatto uno spontaneista,
tuttavia è anche giusto interrogarsi sul perché egli finì per
rimanere senza partito, interrogarsi sulla sua irriducibile indipendenza
che lo rendeva sempre eterogeneo: non è mai stato un “PSI
doc” e non è stato nemmeno un “PSIUP doc”, perché il
PSIUP era assai più dogmatico di quanto non fosse lui, e ciò che
contava del suo messaggio “spontaneista” era la denuncia
dei limiti della organizzazione, della sua separatezza dai processi storici.
Vorrei ancora brevemente ricordare due elementi del fascino che Lelio
esercitava su di noi. Il primo è la sua dimensione di teorico
militante, sempre attento cioè a qualsiasi momento teorico come
strumento per l'azione politica; sempre a richiamare la teoria, a piegarla,
a rapportarla al “che fare”, a chiedersi, sempre, cioè,
in che modo anche la prospettiva ultima reagisse, impattasse sull'agire
quotidiano e ne determinasse l'orientamento. E’ il suo grande modo
di essere realista che lo portava a polemizzare contro la stupida dicotomia “rivoluzione
e riforme”: quel che conta è individuare sempre ciò che
accresce o meno il potere dei lavoratori; un tema che credo sia ancora
attualissimo per la sinistra.
L’altro elemento è la scoperta del Terzo mondo trasfusa
nella Fondazione internazionale, nella Lega dei diritti dei popoli, nei
tribunali; esperienze che molti compagni qui presenti hanno vissuto.
E’ stata una stagione molto importante della mia vita. Non mi soffermo
sul tema […], voglio solo dire che sulle vicende del Terzo mondo,
nelle esperienze della Lega, della Fondazione internazionale, c'è stata
una riscoperta del tema centrale della riflessione di Basso […]
sulla questione della democrazia: il rapporto tra democrazia formale
e democrazia sostanziale. Un tema già evidente nell'articolo 3
della Costituzione e che ritorna in quelle vicende con la forza di un
ragionamento lineare secondo cui non è pensabile parlare di democrazia
se non si pone il problema della democrazia internazionale e, all’interno
di essa, se non c'è il riconoscimento dei diritti dei popoli.
Vorrei fare un’ultima osservazione su Basso come figura della sinistra
europea. Ricordo bene quegli anni: Lelio è stato con “Problemi
del socialismo” l'unico che ha avuto un reale rapporto con la sinistra
europea; i comunisti non ce l'avevano, perché i partiti comunisti
europei erano già asfittici, sterili, né avevano rapporti
con i partiti socialisti, neppure con le sinistre dei partiti socialisti;
anche il Partito socialista era privo di veri legami, nonostante fosse
nell'Internazionale socialista, un luogo che non è stato, per
altro, in alcun modo fecondo. Feconda fu invece, come straordinario laboratorio
della cosiddetta terza via, la rete che attraverso “Problemi del
socialismo” alimentò per un decennio intellettuali e militanti
i cui rispettivi partiti non offrivano alcun contatto internazionale
stimolante. Il tentativo di superare le due tradizioni lo portò avanti
in gran parte Lelio Basso negli anni sessanta e settanta; me ne accorgo
ancora oggi, quando ritrovo in Europa una serie di persone di cui avevo
letto il nome nelle pagine di “Problemi del socialismo”,
unica fonte di circolazione di certe idee e di certe personalità.
Già soltanto questo fa sì che quello di Basso sia stato
un contributo fondamentale. […]
[Tratto da Fondazione Internazionale
Lelio Basso – Fondazione
Lelio e Lisli Basso-Issoco – Lega internazionale per i diritti
e la liberazione dei popoli, Lelio Basso e
le culture dei diritti, Atti
del Convegno internazionale, Roma, 10-12 dicembre 1998, Roma, Carocci,
2000]
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