Per
una democrazia planetaria
La seconda metà del Novecento è stata tutta
segnata da una profonda contraddizione. Da un lato,
la sconfitta dei totalitarismi razzisti, poi il processo
di decolonizzazione e quindi la caduta dei totalitarismi
di matrice sovietica hanno favorito l’estensione
a tutti i continenti di quei diritti dell’uomo che,
enunciati la prima volta dalla Rivoluzione Francese, erano
stati solennemente riaffermati, anche alla luce delle
successive esperienze, dalla Carta delle Nazioni Unite
(1948). Dall’altro lato, però, l’esperienza
concreta dei popoli delle diverse parti della terra dimostra
non solo il persistere di abissali disuguaglianze, ma
anche la diffusa violazione di quei diritti, anche da
parte di Stati e potenze che fanno riferimento a princìpi
di democrazia.
Nell’ultima parte della sua vita, Lelio Basso si
impegnò con grande convinzione su questo terreno.
Come membro del Tribunale Russell per il Vietnam e poi
come promotore del secondo Tribunale Russell per l’America
Latina, si dedicò a elaborare il fondamento anche
giuridico di una giustizia internazionale autenticamente
fondata sui diritti umani. In un sistema internazionale
caratterizzato da una così intensa interdipendenza
economica e politica, il diritto dei singoli Stati non
appare in grado di fare giustizia, anche perché spesso
proprio lo Stato è il primo responsabile delle
violazioni.
Con la Carta di Algeri (1976), Basso cercò di andare
oltre il principio individualistico e astrattamente egualitario
che resta alla base di un diritto “dell’uomo”,
attribuendo un ruolo giuridico ai popoli in quanto entità collettiva,
che non necessariamente corrisponde a confini sanzionati
dal diritto ma è radicata nella storia, e può agire
come nuovo soggetto di una democrazia globale.
Bibliografia
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