Lo
scontro sociale, motore della politica
La democrazia moderna è nata nel conflitto. Si è formata
nell’opposizione tra il progetto di un nuovo ordine,
fondato su regole certe e sull’eguaglianza dei diritti,
e il regime tramandato dalla tradizione, coi suoi rapporti
di forza apparentemente immutabili. E si è formata
anche nelle divisioni e nelle lotte, esplicite, tra diversi
gruppi e diversi interessi all’interno dello stesso
schieramento popolare.
Qui sta la differenza rispetto a molti progetti utopici
premoderni, per quanto affascinanti. La democrazia non
sogna uno Stato dove il conflitto sociale venga soppresso,
dove lo scontro fra diverse parti politiche lasci il posto
a una legge unica e immutabile; è consapevole che
solo lasciando spazio al confronto, anche aspro, i diversi
progetti di Stato e di società possono davvero
misurarsi tra loro e tutti i gruppi sociali possono sperare
di trovare piena cittadinanza.
Lelio Basso si formò in una tradizione, quella
marxista, che riconduceva la lotta politica, nel suo insieme,
a una sola matrice, il conflitto tra le classi di origine
economica. A quella tradizione restò fedele tutta
la vita, sottolineando però sempre che la lotta
fra proletariato e borghesia è una battaglia non
solo per il potere ma anche e soprattutto per una piena
dignità. Ma negli ultimi decenni della sua vita
si aprì con attenzione critica all’emergere
di nuove forme di conflitto sociale di cui riconobbe la
vitalità e la rilevanza, dedicandosi con
particolare impegno a sostenere la lotta dei popoli sottomessi
anche dopo e oltre il colonialismo “classico”,
e quella per i diritti umani.
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