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Luigi Granelli
(Lovere, 1929 - 1999)



Ex operaio, militante e dirigente della Democrazia cristiana e poi del Partito popolare italiano. Più volte deputato, ha ricoperto la carica di sottosegretario agli Affari esteri (1973-1976). Deputato al Parlamento europeo e senatore della Repubblica. Negli anni ottanta è ministro della Ricerca scientifica e tecnologica e ministro delle Partecipazioni statali. Dal 1992 al 1994 vicepresidente del Senato.

[…] I giovani cattolici democratici che erano su posizioni progressiste negli anni '50, oltre a combattere le loro battaglie all'interno del proprio partito, prestavano una grande attenzione a ciò che accadeva nella sinistra italiana e naturalmente si sentivano attirati dalla necessità di conoscere, di approfondire il pensiero degli uomini che, all'interno di questa, avevano maggiore vivacità culturale e politica. L'avvicinamento con Basso allora avvenne proprio perché noi eravamo attratti non soltanto dal suo prestigioso antifascismo a tutti noto, ma anche perché egli sembrava essere uno dei più forti pensatori del socialismo, un uomo di costruzioni dottrinali e non solo di indicazioni pratiche.
Ricordo come leggevamo "Quarto Stato" e "Problemi del Socialismo", come elemento indispensabile per comprendere in modo approfondito cosa era la tensione culturale del socialismo)in Italia, al di là delle posizioni politiche. Mi ricordo che lui fu colpito dal fatto che-queste tematiche interessassero anche cattolici che militavano su altro versante, in altro fronte.
Ricordo moltissime discussioni in quella sua casa di corso Venezia, dove trovare un posto nel quale discutere richiedeva un percorso di guerra tra libri sotto, sopra, in ogni parte. Nel corso di questi incontri, mentre noi cercavamo di scoprire le idee e i programmi del socialismo, lui ebbe modo di constatare che a Milano esistevano dei giovani cattolici democratici disposti anche ad entrare in conflitto col proprio Vescovo per sostenere l'autonomia della politica, soprattutto nel rapporto a sinistra.
Maturò così un'attenzione parallela e reciproca fondata non tanto sulla consistenza delle posizioni o sulla forza di queste posizioni, ma sull'interesse culturale e ideale di tutto ciò che era vivo anche in mondi diversi.
Da allora siamo stati sempre amici; lui leggeva le nostre riviste, noi leggevamo le sue e i nostri frequenti incontri erano poi caratterizzati da vivacissime discussioni.
Quello che però mi ha colpito sempre, in oltre trent'anni di conoscenza, è stato il fatto che Lelio Basso, pur essendo uno degli uomini più rigorosi rispetto alle sue scelte ideali e teoriche di pensiero, pur essendo sempre un uomo della sinistra, un marxista intelligente e flessibile, ma sempre marxista, un socialista che vedeva la costruzione del socialismo e non la semplice conquista del potere, cioè un uomo veramente integro da questo punto di vista, non ha mai ricavato da quello che potremmo definire il suo integralismo di fondo una posizione di chiusura rispetto all'esterno.
Ha dato anzi anche a noi una grande lezione in questo, perché l'intransigenza, l'integralismo, quando è vissuta con onestà intellettuale non è un ostacolo al dialogo, al confronto, alla comprensione anche di posizioni diverse.
Vorrei ridurre a tre gli elementi di scontro, di discussione vivace che costituiscono una verifica del fatto che l'intransigenza socialista e marxista di Basso non è mai stata un ostacolo a dialoghi più vasti.
Il primo è proprio quello della costruzione del socialismo in Italia. Noi su questo terreno abbiamo avuto discussioni molto dure, perché mentre sostenevamo da cattolici democratici operanti nella Democrazia cristiana l'assoluta necessità di un'apertura a sinistra verso il socialismo per dare vita ad equilibri diversi e nuovi rispetto al centrismo o all'involuzione a destra, Lelio Basso vedeva in tale operazione politica il rischio di un'operazione trasformista di cattura di una parte della sinistra e di divisione della sinistra.
Non bastava che noi dicessimo che il nostro intento non era quello trasformistico, non era quello della divisione della sinistra, ma era quello di un processo storico di più ampio respiro; lui faceva allora notare che se questo era vero per noi, la tentazione trasformista sarebbe comunque riemersa quando l'operazione sarebbe stata gestita dalle forze politiche.
Aggiungeva però - e questo dovrebbe essere elemento di riflessione - per essere equanime che non soltanto sarebbe emersa la tendenza al trasformismo delle posizioni più conservatrici della Democrazia cristiana, ma sarebbe emersa anche una debolezza socialista nel concepire il rapporto con i cattolici, e quindi un rapporto più di potere che non di trasformazione della società. Un elemento quindi anche qui di obiettività molto preciso che anche oggi dovrebbe essere elemento di riflessione. Sempre in questo contesto ricordo le discussioni accesissime sul problema del rapporto tra Stato e Chiesa.
Basso è stato sempre molto preciso su questo problema: era contro ogni forma di concordato, per una separazione netta fra Stato e Chiesa. Ricordo una conversazione avuta con lui dopo un famoso discorso che fece al Senato su questa materia, in cui ripropose in modo organico il fatto della separazione tra Stato e Chiesa non solo perché i due ordini dovevano essere rigidamente divisi, ma anche perché vedeva in questo un elemento di liberazione dei cattolici; egli immaginava che noi avevamo bisogno di un aiuto laico per sentirci liberi e vedeva in questa separazione la condizione necessaria. Andate a rileggere il discorso che fece al Senato - l'ho riletto proprio in questi giorni - nel momento in cui sottolinea la necessità della separazione tra Stato e Chiesa; noi rispondevamo che questa era un'opinione storicamente immatura, ma certamente discutibile; in questo stesso discorso Basso ha posizioni di apertura nell'analisi che fa del ruolo della Chiesa, anzi delle Chiese e dei cattolici sul cammino della liberazione dell'uomo nella società che sono in contrasto stridente con quella accusa di anticlericalismo che gli fu fatta per avere sostenuto una tesi separatistica nel rapporto tra Chiesa e Stato.
Anche qui abbiamo la prova che il fatto di sostenere la netta separazione tra Chiesa e Stato, da marxista e da laico rigoroso quale era lui, non gli impediva di comprendere cosa era la Chiesa, cosa erano le Chiese, come erano le liturgie religiose nella trasformazione della società, quale ruolo avevano i cattolici italiani nella storia del loro Paese. Vedo quindi anche qui questa duplicità: intransigenza-dialogo e apertura.
Passo a un secondo punto, che interessa di più le sinistre. Non credo che si possa far risalire soltanto al memoriale di Jalta la critica ai rischi della burocratizzazione della rivoluzione in Unione Sovietica. Basso è stato sempre un rigoroso critico del fatto che la presa di possesso del potere da parte dei .Soviet in Unione Sovietica non era di per sé sola una garanzia di costruzione del socialismo. Ha sempre messo in guardia contro tutti i fenomeni burocratici, involutivi. Ha sempre denunciato la circostanza che senza una partecipazione cosciente delle masse e quindi senza articolazione di democrazia e di libertà anche la proprietà pubblica dei mezzi di produzione avrebbe a un certo punto dimostrato il suo limite.
Mi pare che basta guardare a quanto sta accadendo in Unione Sovietica in questo momento, a dichiarazioni di grande importanza anche teorica, non solo politica, di Gorbaciov quando dice che l'obiettivo di questo periodo storico è la costruzione dello stato di diritto socialista, cioè del recupero di tutte le tematiche del diritto della partecipazione, dell'articolazione nella costruzione di un socialismo non solo materiale.
Mi pare che questo sviluppo degli avvenimenti rende una testimonianza sia pure tardiva a certe intuizioni di Basso per quanto riguarda la costruzione del socialismo nei paesi dell'est che ne fanno un uomo che ha visto lontano, anche se vedendo lontano si fa prima a perdere da vicino. Perché questa è un po' una logica che c'è nella politica italiana.
Anche su questo quindi noi trovavamo dei punti di convergenza almeno nell'analisi; anche noi ritenevamo che la costruzione del socialismo separata dai valori della libertà era un pericolo; noi lo dicevamo da altri versanti, lui lo diceva da socialista: Però è chiaro che questo punto è stato un altro punto interessante.
Per concludere con gli esempi: il tema dell'internazionalismo. Vi ho già detto che in alcuni aspetti Basso, secondo me, qualche volta eccedeva nel dottrinalismo, aveva una logica forte nel trovare una sistemazione teorica per tutto. Devo dire però che negli ultimi anni della sua vita, quando abbiamo avuto anche frequenti contatti in vista della creazione della Fondazione internazionale per il diritto e la liberazione dei popoli, egli riconobbe la grande importanza che per esempio i cattolici ebbero ed hanno, sul terreno dell'internazionalismo, nelle lotte per la libertà nei Paesi a dittatura militare, in America Latina o nei paesi africani o in Asia.
Perché un uomo come lui aveva più volte detto che l'analisi marxista che fonda spesso sul proletariato l'elemento del riscatto non poteva essere meccanicamente applicata in Paesi e in situazioni storiche dove il proletariato non era ancora nato e scopriva conseguentemente che la coscienza cattolica, la coscienza religiosa era un elemento che poteva concorrere ad affermare il principio sostanziale dell'indipendenza dei popoli contro le dittature, dell'affermazione del loro diritto.
Tutta cioè la problematica delle Chiese, della teologia della liberazione nell'America Latina o il martirio di monsignor Romero era letta come valutazione di componenti non marxiste ma valutabili dal marxismo come elementi concreti di liberazione dei popoli e di affermazione del diritto dei popoli.
Ho sentito dire qui - e mi complimento molto - che non si vuole rievocare Basso soltanto perché sono passati dieci anni dalla sua morte, ma si vuole continuare un'azione di riflessione, di iniziativa, di pensiero. Da questo punto di vista Basso era e potrebbe essere ancora un esempio di anticonformista, di uomo che va contro corrente, che assume le sue responsabilità, che dissente.
In un momento come questo a me sembra che il ricordo di questo fattore sia di grande importanza, perché stiamo tutti per precipitare in una sorta di cultura dell'attualismo nella quale, per essere alla moda, per essere à la page bisogna per prima cosa recidere il passato. Meno passato si ha e più moderni si è, più colti si è, più aperti si è. Dall'altro lato la contesa per il potere è deformata nella sua gestione, ma non è più riconducibile ad alcuna finalità. A me allora sembra che la rivalutazione del dubbio, del dissenso che rischia di essere criminalizzato nei partiti e persino nelle istituzioni, il ritorno all'idea importante del considerare il dissenso come elemento dialettico per costruire il pensiero è uno dei migliori omaggi che possiamo tributare alla memoria di Lelio Basso.
Del suo esempio abbiamo bisogno mentre incombe il rischio di cadere prima nel pragmatismo e poi nel qualunquismo, che sono gli ingredienti necessari per arrivare a quelle svolte autoritarie da seconda repubblica che potrebbero magari portare a un modo efficiente di vivere la democrazia, ma una democrazia opaca e senza idee che è il contrario di quella che Basso ha vissuto da grande protagonista e che noi dovremo avere la forza di proporre ancora anche alle nuove generazioni.

[Tratto da AA.VV., Socialismo e democrazia. Rileggendo Lelio Basso, Concorezzo, Gi. Ronchi Editore, 1992 che raccoglie le relazioni e gli interventi dell’omonimo convegno svoltosi a Milano nel 1988]