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Lelio Basso

Lelio Basso

Abolire il Concordato

La Chiesa “non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza”. Sono parole della costituzione Gaudium et spes approvata dal Concilio Vaticano Secondo. E nel messaggio ufficiale del Concilio ai governi, letto dal cardinale Liénart il giorno solenne della chiusura, si dice: “Che cosa vi domanda questa Chiesa, dopo quasi duemila anni di vicissitudini di ogni specie, nelle sue relazioni con voi, potenze della terra? Che cosa vi domanda oggi? Essa ve l’ha detto in uno dei testi maggiori di questo Concilio: essa non vi domanda che la libertà”.

Se la Curia romana avesse applicato le direttive del Concilio, sarebbe stato logico attendersi che essa medesima prendesse l’iniziativa di sollecitare la revisione del Concordato, per rinunciare ai privilegi antidemocratici che violano lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana, e chiedere semplicemente la garanzia della libertà, cioè del libero esercizio del proprio ministero. Invece non è successo nulla di simile, e la Chiesa ha continuato per la sua strada secolare, quella cioè di rivendicare la libertà dove è minoranza e di pretendere di esercitare il potere, magari indirettamente attraverso i partiti cattolici, dove è - o crede di essere - maggioranza. Era questa la prassi che aveva denunciato al Concilio il cardinale Silva Henriquez, primate del Cile: “Bisogna dissipare l’impressione di opportunismo da parte dei cattolici, i quali sembrano seguire diversi principi sulla libertà religiosa, secondo che si tratti o no della Chiesa cattolica e secondo che questa sia in maggioranza o in minoranza”. Sono passati ormai oltre dieci anni dalla fine del Concilio ed è lecito domandarsi che cosa sono divenuti questi impegni così solenni assunti dalla suprema assise della Chiesa in cospetto del mondo intiero. Indubbiamente quelle parole, come tante altre pronunciate dal Concilio, non sono passate invano: se si ha riguardo alla comunità dei fedeli si può constatare che è in atto una profonda rivoluzione spirituale che, specialmente in America latina, è andata molto lontano. Ma se si ha riguardo invece alla Chiesa istituzionale, e soprattutto al suoi vertici rappresentati dal Papa e dalla Curia romana, bisogna riconoscere che, se sono intervenuti alcuni ritocchi, per la maggior parte formali, lo spirito e la volontà di potenza anche temporale, di dominio sullo Stato e sulla società, non sono per nulla diminuiti. Sotto questo profilo la vicenda dei Patti Lateranensi è esemplare. Ci vollero due anni e mezzo perché una mia mozione per la revisione dei Patti Lateranensi, al fine di adeguarne il contenuto alla Costituzione e allo spirito conciliare, presentata all’inizio del 1965, fosse discussa nelle sedute della Camera del 4 e 5 ottobre 1967. La discussione si chiuse con l’approvazione da parte della Camera e dello stesso governo Moro, del principio della revisione necessaria, limitata però al solo Concordato (come se l’affermazione più grave, che la religione cattolica è la religione ufficiale dello Stato, non fosse contenuta nel Trattato). Ma il governo Moro non rese nessuna iniziativa in questo senso, e solo il successivo governo Leone si limitò a nominare una commissione di studio, le cui conclusioni sono però rimaste segrete. Solo nell’aprile 1971 il presidente del consiglio Colombo si decise a darne qualche cenno alla Camera e ne risultò l’assoluta inadeguatezza, come del resto era inevitabile data la composizione della commissione. Ma poiché non si può fermare la logica della storia, lo spettro della revisione - che il Vaticano ha esorcizzato - si è incarnato egualmente, a cominciare dalla legge sul divorzio, dichiarata dal Vaticano un “vulnus” al Concordato, ma, ciononostante, confermata dalla Corte costituzionale e - istanza sovrana - dal referendum popolare. Oggi apprendiamo che anche la Cassazione, che pure non pecca certo di avanguardismo né in questo né in alcun altro campo, ha messo in dubbio la legittimità costituzionale delle disposizioni sulla omologazione delle sentenze rotali di scioglimento del matrimonio da parte dell’autorità giudiziaria italiana. Ci sembra pertanto di poter concludere che è giunto il momento di cessare la schermaglia per passare alla battaglia in campo aperto. Il Vaticano non ha mantenuto i solenni impegni conciliari; il governo non ha mantenuto quelli assunti davanti alle Camere. Aspettare una revisione - che si limiterebbe al solo Concordato e sarebbe, per di più, quasi insignificante - attraverso trattative fra questi due vertici, significherebbe perdere inutilmente altri dieci anni. È giunto il momento che il popolo italiano, l’opinione pubblica laica e cosciente, prenda direttamente in mano il problema e attraverso campagne di stampa, sentenze di magistrati, referendum, ecc., arrivi all’abolizione integrale del Concordato e di quegli articoli del Trattato che sono incompatibili con la Costituzione, come quello sopra ricordato della religione ufficiale. Fermo, naturalmente, restando il rispetto di due principi fondamentali: il mantenimento dello Stato della Città del Vaticano e la piena libertà della Chiesa di svolgere il proprio ministero religioso.