IL CONVEGNO DEI NUCLEI AZIENDALI
Domenica 16 giugno ha avuto luogo a Milano, nello
stabilimento del compagno Sleccanella, il convegno
che era stato precedentemente annunziato dalla nostra rivista. Erano presenti
molti compagni dei Nuclei Aziendali Socialisti della provincia di Milano, e i
rappresentanti dei maggiori Nuclei Aziendali e di diverse Federazioni di tutto
il Nord Italia. Vennero presentate le relazioni che qui riportiamo.
“L’aspetto politico dei nuclei aziendali”
di Lelio Basso
Compagni,
avrei voluto presentare a questo Convegno
un’accurata relazione che tenesse conto di tutto il materiale che ho raccolto
durante questi mesi di vita e di esperienze dei Nuclei Aziendali Socialisti, ma
le condizioni politiche succedute al due giugno prima e le mie condizioni di
salute in questi ultimi giorni mi hanno impedito di prepararla. Mi limito
perciò ad un’esposizione verbale del mio punto di vista in proposito.
Oggi, in quasi tutte le provincie in cui esistono grandi aziende industriali,
esiste l’organizzazione dei nuclei aziendali, per quanto siano quella di Milano
e quella di Brescia le federazioni in cui a questa forma di organizzazione è
stato dato finora maggiore impulso: non esiste però fino a questo momento una
visione uniforme del problema in tutte le federazioni, ed è per studiare le
migliori soluzioni possibili, al lume delle diverse esperienze, che abbiamo
preso l’iniziativa di questo convegno.
Noi siamo sempre stati fautori,
almeno in questa fase di formazione del nuovo partito socialista, dell’autonomia
politica dei nuclei, che deve fare di essi delle vere e proprie sezioni, le
quali avrebbero la possibilità di funzionare ancor meglio delle sezioni
territoriali. Ma una parte del partito si oppone ai nostri sforzi, movendo
obiezioni d’ordine pratico e d’ordine politico. Alle prime, sul terreno dei
problemi organizzativi, voi stessi potete rispondere meglio di me. Io cerco
d’impostare il problema dal punto di vista politico.
È di fondamentale importanza
sgombrare il terreno dell’accusa che con l’organizzazione aziendale noi
facciamo dell’operaismo. Ma per trattare di questo bisogna che si chiarisca
qual è il nostro concetto del partito. Gran parte dei socialisti non ha nessuna
idea quale sia la natura e la funzione di un partito di classe; per loro il partito
non è che l’associazione di persone che hanno le medesime idee,
indipendentemente dalla loro provenienza sociale, e molto spesso neppur quelle. È forse l’associazione di persone che hanno
la medesima tessera, qualunque sia il motivo che le ha indotte a prenderla.
Tutta la letteratura marxistica in argomento, che è una delle parti più vitali
del pensiero marxista, è pressoché sconosciuta in Italia.
Prima ancora di definire il
partito, bisogna però che noi diciamo che cosa è la classe. Essa non è semplicemente
l’insieme delle persone che svolgono una medesima attività o si trovano nella
stessa situazione sociale. Gli operai, per il solo fatto di essere operai, non
formano per questo la classe operaia. È la coscienza di costituire una classe
quella che determina l’appartenenza alla classe. Costituiscono la classe
operaia quegli operai che si rendono conto che la loro personale emancipazione
è legata alla vittoria della loro classe e conseguentemente al rovesciamento
degli esistenti rapporti sociali. Per Marx la classe si identifica con la
coscienza che se ne ha.
E che cosa è il partito in
confronto alla classe? È l’avanguardia della classe, la parte più vivace, più
combattiva e più attiva, che sente di doversi organizzare politicamente per un
fine politico, non per un fine soltanto sindacale, per quel fine cioè che è
posto dal socialismo; l’emancipazione della classe lavoratrice. La classe si dà
un’organizzazione politica: questa è il partito: Ecco in che senso il partito è
un partito di classe. Esso unisce coloro che formano l’avanguardia militante
della classe, che sentono che per realizzare le finalità di classe è necessaria
un’organizzazione politica. Questa concezione del partito supera la vecchia
concezione piccolo-borghese, che ha caratterizzato il nostro partito prima del
fascismo e che è tuttora largamente diffusa fra i socialisti, la quale vede nel
partito solo l’associazione di persone legate dalle medesime idee, e che è
quindi, in fondo, solo una concezione individualistica. Ma se noi attribuiamo al
partito la natura e la funzione di partito di classe, dobbiamo anche pensare
come esso possa svolgere questa sua attività.
C’è una verità che si dimentica
troppo spesso, ed è che l’avanguardia non può distaccarsi dal grosso
dell’esercito. Noi possiamo avere delle concezioni che politicamente ci
differenziano, ma non possiamo volere delle cose che la massa non capisce
neppure. Solo se il partito sta vicino alla classe anche nei suoi errori, solo
se il partito non si considera un’aristocrazia isolata, ma accompagna la classe
in tutte le sue esperienze, stimolandola e guidandola a conquistare -
attraverso le esperienze, gli errori, le delusioni che sono il risultato
concreto delle battaglie vinte o perdute - la coscienza dei suoi veri scopi e
dei suoi veri interessi, la chiara consapevolezza dei reali rapporti sociali, e
a darsi così una sicura linea politica, solo in questo caso il partito può
svolgere la sua funzione. La quale consiste nel trascinare a poco a poco dietro
di sé tutta la classe, e a tal fine è necessario che il partito abbia intorno a
sé, fra i lavoratori, una larga massa di simpatizzanti; ma esso assolve a
questa sua funzione quanto meno dalla classe si isola, quanto più cioè esso
riesce a conservare sempre nelle sue mani la guida delle masse non organizzate.
Noi non avremmo fatte le manifestazioni di forza del 14 ottobre per la
Costituente e non avremmo fatto oggi la repubblica, se avessimo dovuto contare
solo sulle forze organizzate dei partiti. È stato perché abbiamo saputo
trascinare altre forze dietro di noi che abbiamo vinto queste due battaglie.
Ci sono stati nella storia del
movimento operaio dei partiti che si credevano “élite”, convinti di distillare
la quintessenza del marxismo, come p. es. i trozkisti.
Essi hanno anche detto delle cose interessanti, e possono anche avere fatto
delle analisi giuste delle situazioni in cui vivevano, ma
si sono distaccati dalla classe e hanno con ciò rinunciato ad agire sul piano
dell’azione politica, hanno rinunciato ad assolvere la funzione di guida e di
avanguardia, che è tipica dei partiti di classe, hanno quindi praticamente
rinunciato ad essere dei partiti di classe e si sono perciò stesso posti sullo
sterile terreno della piccola borghesia.
È in questa visione generale che
va risolto il problema dei nuclei aziendali.
Io ho già esposto idee simili in
un articolo apparso sui primo numero della nostra rivista, dal titolo “Rifare
il partito”. Oggi bisogna rifare il partito su basi diverse. Oggi il nostro
partito è molto più numeroso di una volta e dovrà diventare più numeroso
ancora: questo non solo per il crescente interesse delle masse alla politica e
per le esigenze nuove di un partito che passa dal ruolo di oppositore a quello
di governante, ma anche perché non abbiamo più la possibilità di fare opera di
educazione socialista attraverso gli organi sindacali, che una volta erano
interamente socialisti, una specie di succursale del partito, mentre oggi,
grazie all’unità conseguita, i sindacati possono influire solo in forma più
generica sulla formazione di una coscienza politica proletaria. Oggi l’opera di
politicizzazione della massa - l’educazione politica cioè che tende a fare
della massa una classe cosciente - dev’essere condotta direttamente dal partito
senza più intermediari. È un’opera diuturna che va svolta giorno per giorno a
contatto con la vita delle masse, cioè con la vita delle fabbriche, delle
aziende, dei campi. Il partito non può più essere una semplice macchina
elettorale, che si mette in moto nelle grandi occasioni; esso deve diventare
veramente l’avanguardia della classe lavoratrice, ma in pari tempo deve
talmente espandere la sua opera di penetrazione fra le masse, deve a tal punto
politicizzarle che in ultima analisi la classe tenda ad immettersi tutta nel
partito, sicché al limite i due concetti di classe e di partito tendano ad
identificarsi, e tutto l’esercito proletario venga ad allinearsi sulle
posizioni conquistate dalla sua avanguardia.
Nel mio articolo che ho or ora
citato, io fissavo appunto queste quattro norme fondamentali all’attività
ricostruttrice del nostro partito: “fare di ogni lavoratore un simpatizzante,
poi successivamente di ogni simpatizzante un inscritto, di ogni inscritto un
attivista, di ogni attivista uno specialista”.
Fare di ogni lavoratore un
simpatizzante, vuol dire destare in ogni lavoratore la coscienza di classe;
fare di ogni simpatizzante un inscritto vuol dire far sì che quei lavoratori
che hanno coscienza della solidarietà che lega gli appartenenti alla stessa
classe sentano il bisogno di darsi un’organizzazione politica che guidi il
resto della classe, sentano cioè il bisogno di entrare a far parte del partito;
fare di ogni inscritto un attivista vuol dire tradurre in termini di attività
concreta e quotidiana questa esigenza politica che non deve limitarsi ad una
platonica adesione; infine fare di ogni attivista uno specialista vuol dire
dare a questa organizzazione politica, che costituisce l’avanguardia militante
del proletariato, il necessario tecnicismo che ne faccia uno strumento
modernamente efficiente per la conquista del potere in una società
politicamente, socialmente ed economicamente complessa come quella in cui
viviamo. È su questi quattro punti che deve impostarsi il cosiddetto “problema
dei quadri”, che è in realtà il problema della creazione della nuova classe
dirigente. Noi potremo realizzare il socialismo solo nella misura in cui
sapremo esprimere dalla classe lavoratrice i nuovi quadri di governo, in cui
sapremo cioè fare della classe lavoratrice la nuova classe dirigente.
Nell’assolvere tutti questi compiti meglio d’ogni altra forma organizzativa sta
appunto il valore politico dei nuclei aziendali.
Il nucleo aziendale avvicina
l’avanguardia militante al resto della classe, opera la saldatura fra il grosso
delle forze e l’avanguardia, molto più di quanto non si possa fare in una
sezione territoriale. Il compagno che presta la sua attività di partito in un
nucleo aziendale ha ora per ora il polso della massa. Se il partito prendesse
le sue decisioni a contatto con le fabbriche, le sue decisioni non sarebbero
mai avventate, e avrebbero sempre dietro di sé tutta la classe lavoratrice.
Perché il compagno che vive nel nucleo, cioè entro la fabbrica, la sua vita di
partito, porta nelle discussioni di partito non soltanto il proprio personale
punto di vista ma l’eco della voce di tutti i compagni di lavoro, e a sua volta
riflette sui compagni di lavoro quello che è il senso e la conclusione delle
discussioni condotte nel seno del nucleo: la vita di partito è quasi come un
prolungamento della vita di lavoro, e vi è uno scambio continuo di sentimenti,
di reazioni e di idee fra il militante e il cosiddetto “apolitico” o
“indipendente”, fra la minoranza qualificata del partito e la totalità dei
lavoratori dell’azienda. Ed è solo in virtù di questo rapporto costante, di
questa circolarità continua, di questa ferma aderenza dei problemi del partito
ai problemi della massa, che il militante acquista un effettivo ascendente e
una possibilità di sempre maggior presa sulla massa non organizzata: ascendente
e presa che vanno sacrificati e perduti qualora l’attività politica dei
lavoratori di un’azienda vada dispersa in tante diverse sezioni territoriali
ove agli inscritti viene a mancare il contatto diretto e quotidiano con i non
inscritti, sicché la sezione territoriale viene ad essere come avulsa ed
estranea alla vita del rione che le pulsa attorno ma in cui il partito non è
efficacemente presente con le sue cento voci come in un’azienda. In questo modo
il nucleo aziendale assolve a quello che, fra i quattro punti enunciati,
abbiamo indicato come prima funzione: fare della massa amorfa una classe
cosciente, fare di ogni lavoratore un simpatizzante, il che equivale poi a fare
del partito - della minoranza organizzata in partito - la guida effettiva di
tutta la classe.
Ma il nucleo aziendale giova anche
in misura notevole alla realizzazione del secondo punto: fare di ogni
simpatizzante un inscritto. Facendo vivere la sezione del partito entro
l’azienda, mescolando l’organizzazione attiva dell’avanguardia militante alla
vita di ogni giorno di tutta la classe, l’entrata nelle file del partito è resa
più facile a coloro che hanno già conquistato coscienza dei loro fondamentali
problemi di classe, che sono già, dei simpatizzanti. La capacità di
proselitismo dei nuclei è stata sempre riconosciuta da tutti; attraverso di
essi, il partito ha considerevolmente aumentato la sua potenza numerica, la sua
sfera d’influenza in seno alla classe lavoratrice. Ma l’ha aumentata veramente,
come dai nostri critici si sostiene, a detrimento della sua compattezza? L’ha
aumentata veramente a tutto vantaggio della classe operaia, creando quasi un
partito di operai, separato anche organizzativamente
dal resto del partito? Al contrario, io credo che è proprio nella fabbrica,
proprio nell’organizzazione aziendale che si combatte l’operaismo, perché
mentre certe sezioni territoriali (sezioni rionali dei quartieri operai,
sezioni di villaggi, sezioni delle zone centrali delle grandi città) presentano
fra i propri inscritti un’assoluta uniformità professionale (soli operai, soli
braccianti, soli professionisti), alle sezioni aziendali si inscrivono operai,
impiegati di ogni grado e categoria, e quindi anche sovente medici o avvocati
dell’azienda, talvolta dirigenti, e spesso operai provenienti dalla campagna e
legati alla vita contadina. Tutte queste persone di diversa origine, di diversa
cultura e di diversa condizione, sociale, ma uniti non solo nella stessa opera
produttiva bensì anche nella necessità di lottare contro lo stesso padrone e lo
stesso sfruttamento capitalistico, costituiscono già in embrione quell’unità di
tutti i lavoratori, manuali e intellettuali, sul terreno della lotta di classe,
che noi consideriamo una premessa necessaria alla realizzazione del socialismo.
La saldatura del proletariato con
i ceti medi, che oggi tutti considerano scopo fondamentale da raggiungere,
avviene precisamente nella fabbrica, e questa osservazione è molto importante
oggi che lo spirito borghese vuole infiltrarsi nel nostro partito. Noi sappiamo
che in Italia non si farà una rivoluzione socialista senza il concorso anche di
una parte dei ceti medi, ma il pericolo che comporta il nostro avvicinamento ai
ceti medi è quello che essi riescano ad impregnare il partito del loro spirito.
Oggi queste possono anche sembrare a taluno delle sfumature, ma sono in realtà
questione di importanza vitale. Una parte del nostro partito è disposta a
guadagnarsi l’alleanza dei ceti medi prendendo a prestito da essi le loro
ideologie, facendo così del nostro partito il partito della piccola borghesia,
cioè il partito destinato a conciliare borghesia e proletariato, il che
praticamente farebbe di noi tutt’al più l’ala sinistra dello schieramento
borghese, asservita ad interessi borghesi, non certo più quel partito classista
e rivoluzionario che noi ci sforziamo di essere.
Ora, se togliamo al partito
socialista la sua qualità di partito che vuole l’emancipazione della classe
lavoratrice, gli togliamo la sua caratteristica fondamentale, gli togliamo la
sua essenza politica. È al contrario su questo terreno, proprio inizialmente
alla sola classe operaia, che noi vogliamo portare i ceti eredi, facendoli
coscienti della fondamentale identità dei loro interessi con le nostre finalità
di classe, e operando così la sintesi di due diverse mentalità. Il socialismo è
nato essenzialmente come movimento operaio, si è sviluppato nelle grandi
industrie, e i ceti medi, che vivono fuor della fabbrica, che hanno esperienze
diverse, hanno elaborato ideologie diverse, individualistiche e
piccolo-borghesi, appunto perché non hanno avuto quella grande scuola di
educazione classista che è la vita in comune nelle grandi aziende, a contatto
con gli stessi problemi e in lotta con uno stesso padrone. Sappiamo che il
proletariato industriale da solo non può raggiungere la vittoria, ma sappiamo
che non vi può essere vittoria senza un rovesciamento dei rapporti di classe,
sappiamo cioè che solo sulla base di una coscienza di classe il socialismo può
vivere e vincere.
Ora è appunto nella fabbrica che
l’operaio viene a contatto con lavoratori di altre categorie, di altra
condizione sociale, e questo avviene precisamente là dove la lotta di classe è
la realtà di ogni giorno, dove giorno per giorno si matura la coscienza di
classe. Solo se questo contatto viene mantenuto anche nella vita della sezione,
ove la dura realtà quotidiana si traduce in più matura e riflessa esperienza
politica, solo cioè se la sezione continua a riunire anche sul terreno politico
tutte queste diverse categorie di lavoratori che s’incontrano nella loro vita
di lavoro - e questo è possibile soltanto nel nucleo aziendale eretto a sezione
- solo a questa condizione la sezione può diventare veramente il crogiuolo che
fonde queste diverse formazioni mentali, queste diverse culture, questi diversi
spiriti, lasciando alla maggioranza operaia, animata dal suo istintivo senso di
classe, la sua funzione di propulsione e di guida, ma affinandone l’istinto col
contributo degli altri strati sociali, che solo per questa via sono portati ad
intendere e a condividere lo spirito classista delle masse proletarie.
L’esperienza ha ormai largamente
insegnato che è solo nella fabbrica, solo a contatto della vita, dei problemi e
delle lotte delle grandi masse che il ceto medio, erede di una tradizione
individualistica, può intendere lo spirito del proletariato, e solo nella
fabbrica l’individualismo gretto, chiuso, egoista del piccolo borghese può
aprirsi ad orizzonti più vasti fino a fecondare di sé la dura messianica
volontà di redenzione delle grandi masse operaie. Lo spirito di indipendenza
del ceto medio e lo spirito di solidarietà dell’operaio si fondono qui
veramente in una superiore e moderna visione di libertà, che è la libertà
socialista. Sono molti gli esempi che io potrei citare della grande virtù
formatrice dei nuclei aziendali: ricordo soltanto il caso di due fratelli
professionisti, educati con lo stesso spirito agli stessi sentimenti, ed
entrambi socialisti, ma uno dei quali, ingegnere di fabbrica, porta nel suo
socialismo tutto lo spirito rivoluzionario del classismo, mentre l’altro,
libero professionista, è irretito ancora nelle vacuità ideologiche e nelle
insufficienze pratiche del riformismo piccolo-borghese. E non v’è dubbio che,
partendo dei nuclei aziendali, il nuovo spirito classista che va permeando di
sé strati sempre più vasti di lavoratori intellettuali, si estenda gradatamente
alle loro famiglie, al loro ambiente, al loro “ceto”. La classe lavoratrice,
intesa nella sua accezione più vasta quanto alla varietà di lavoratori che la
compongono, ma nella sua accezione più rigorosa quanto al senso vivo di classe
che deve animarla, è nata davvero, nasce anzi ogni giorno nei nostri nuclei
aziendali.
Un altro apporto positivo ed
importante dei nuclei aziendali è dato alla confluenza di due mentalità così
diverse come quella cittadina e quella campagnola. Molti operai che ogni giorno
affluiscano in città dai più o meno vicini paesi di campagna (a Milano molti
anche dalle province di Bergamo e di Brescia) vi portano la loro mentalità
contadina che difficilmente si amalgama, che certamente non può modificarsi
finché un contadino è costretto a vivere nell’ambito del suo paese. Ma quando
egli non solo viene a lavorare in città, ma vive anche nella fabbrica la sua
vita di partito e qui forma e matura la sua coscienza politica, egli fa delle
esperienze nuove, acquista punti di vista nuovi, comincia sopratutto ad
intendere che, sia in città che in campagna, il solo modo di risolvere il
problema della miseria dei lavoratori è quello di fare finalmente cessare lo
sfruttamento capitalistico. E questo contadino che in fabbrica, con la sua
mentalità un po’ chiusa, appare un elemento di retroguardia, diventa al suo
villaggio un elemento di avanguardia, è sovente il segretario della sezione, quasi
sempre un attivista che porta un’anima nuova e fa circolare uno spirito nuovo
nel suo villaggio di residenza. Il che dimostra non essere affatto vero che
l’organizzazione aziendale depauperi le sezioni territoriali, oltre al
vantaggio positivo già rilevato di allargare sempre di più la solidarietà
d’interessi di tutte le categorie di lavoratori.
In questa considerazione
dell’enorme importanza che ha il nucleo aziendale nel cementare tutte le forze
della classe lavoratrice, che solo nel nucleo s’incontrano e fondono le loro
esperienze, meriterebbe un posto importante il problema della donna, che fuori
dell’azienda appare quasi soltanto sotto l’aspetto poco classista della
casalinga e che frequenta assai poco le sezioni territoriali. Ma questo è
argomento trattato da un’apposita relazione.
Abbiamo così risposto anche alle
principali accuse che, sul terreno politico, vengono mosse ai nuclei aziendali:
rileviamo soltanto che i vantaggi sin qui enunciati non sussisterebbero se il
nucleo non avesse una sua vita
politica, non godesse cioè di una vera e propria autonomia, sia pure coordinata
con l’organizzazione territoriale nelle forme e nei modi che la vostra
esperienza pratica vi può suggerire come i più adatti a trarre il meglio dalle
due forme organizzative. Non credo possa esservi dubbio però che
l’organizzazione aziendale è quella che consente di ottenere i migliori
risultati per creare una coscienza politica non solo fra gli operai, ma fra
tutti gli elementi della classe lavoratrice.
Ma perché questa coscienza
politica non resti sterile, perché l’avanguardia militante della classe marci
veramente e sia di guida a tutta la classe, perché il partito diventi una
strumento realmente efficiente per l’azione politica del proletariato, è ancora
necessario - ho detto dianzi - che ogni inscritto sia trasformato in attivista
e ogni attivista in uno specialista. Anche a questi compiti il nucleo aziendale
è certamente più adatto della sezione territoriale. Prevale infatti nelle
aziende un carattere di maggiore concretezza di lavoro, di maggiore tecnicismo.
Nel nostro partito si ha la tendenza a fare molti bei discorsi, infiorati di
molta retorica; ma è difficile che questi discorsi si possano fare impunemente
nelle fabbriche, davanti alla gente del lavoro, che ha sempre il tempo limitato
e che è abituata ad usare il suo tempo per fini di rendimento e di produzione.
L’avvocato che imperversa sovente anche con successo nelle nostre sezioni
territoriali non è fortunatamente riuscito a mettere radici nelle sezioni
aziendali. Qui si esce dal vago e dal generico per affrontare compiti concreti:
il nucleo aziendale vede riflessa la politica generale anche sulla vita
dell’azienda, e la commissione interna come il consiglio di gestione sono dei
microcosmi in cui si dibattono gli stessi problemi e si affrontano gli stessi
interessi che agitano la vita politica, economica e sociale dell’intera
nazione. Ogni inscritto al nucleo sente veramente, direi nella sua stessa
carne, come i problemi delle sua vita quotidiana sono legati ai grandi problemi
politici del paese, e la sua partecipazione alla lotta politica così come il
suo bisogno di far partecipare anche tutti gli altri compagni di lavoro
diventano ogni giorno una realtà sempre più viva. Così il nucleo si sviluppa,
si articola, si ramifica, attraverso fiduciari o comitati di reparto, di
sezione, di stabilimento e gli attivisti si moltiplicano in un’organizzazione
sempre più capillare e sempre più aderente ai bisogni della massa, di cui il
nucleo aziendale Breda di Sesto San Giovanni fornisce
indubbiamente uno degli esempi meglio congegnati e più efficienti.
Nasce così anche, giorno per
giorno, la vera democrazia di partito. Si è discusso, si discute molto di
democrazia nel nostro partito. Ma s’intende di solito una democrazia puramente
formale, nettamente piccolo-borghese, che si appaga del diritto teorico di
deporre una scheda nell’una e per soddisfare questa sua mania di votazione
vorrebbe una serie continua di assemblee magari pletoriche, necessariamente
inconcludenti, senza una seria possibilità di discussione a fondo dei problemi
politici, e perciò quasi sempre limitate a pettegolezzi, maldicenze e calunnie,
o tutt’al più a sterili logomachie di pochi iniziati, che soddisfano
l’abitudine piccolo-borghese del personalismo o del particolarismo ma
rappresentano indubbiamente un elemento negativo per la compattezza del
partito.
Ma secondo noi la democrazia più
vera e profonda non si attua attraverso queste estenuanti discussioni, che
hanno l’apparenza soltanto della democrazia ma lasciano in ultima analisi
profondamente scontenti tutti i militanti cosiddetti di “base”, si attua invece
procurando di dare a tutti i militanti del partito la stessa maturità politica
e la stessa capacità di valutare i problemi, si attua cioè tanto meglio quanto
più riesce a penetrare in profondità, attraverso un’organizzazione capillare
qual’è appunto quella dei nuclei, e quanto più si riesce a far partecipare un
sempre maggior numero di compagni alle discussioni dei problemi concreti, il
che pure si ottiene - l’esperienza ce lo ha ormai largamente confermato -
attraverso l’organizzazione aziendale che ci dà una percentuale di frequenza
alle riunioni notevolmente superiore a quella delle sezioni territoriali.
Troppe discussioni di tendenza si
fanno oggi, nel nostro partito, troppe quistioni di lana caprina si fanno
sorgere ad ogni piè sospinto da una mentalità ormai incallita nel
parlamentarismo, e sono sempre gli stessi i compagni che vi partecipano. Io
sono sicuro invece che la democrazia del partito sarebbe molto meglio
realizzata se si discutesse solo di argomenti su cui è necessario decidere e
quando è giunto il momento di decidere, e poi si agisse con assoluta
disciplina, ma alle discussioni potesse effettivamente partecipare tutto il
partito, messo in condizioni, attraverso un’organizzazione nucleare, di
discutere liberamente e di esprimere veramente il proprio pensiero. La più
modesta sezione aziendale che svolga ogni giorno il suo lavoro serve meglio il
socialismo di tutti i bei discorsi che si fanno in troppi congressi e in troppe
assemblee da parte di gente che non ha magari mai visto una fabbrica se non dal
di fuori.
È dalla vita della produzione che
si formerà a poco a poco la nuova classe dirigente socialista, e l’ultimo
operaio che partecipa modestamente alla discussione dei problemi del suo nucleo
e si forma così una coscienza socialista serve il partito meglio di tanti
retori che ci asfissiano con le loro retoriche declamazioni in onore della
libertà e della Democrazia.