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Discorso sul programma

Discorso sul programma

Nota introduttiva

La rivolta popolare del 9 novembre e la caduta della monarchia ponevano finalmente anche in Germania in termini di attualità pratica i problemi della strategia rivoluzionaria su cui Rosa Luxemburg aveva lungamente discusso e su cui avrebbe dovuto ora sperimentare le sue qualità di dirigente politico. Uscita dal carcere, essa assunse la direzione della Rote Fahne, il quotidiano della Lega Spartaco, di cui erano apparsi fortunosamente due numeri il 9 e il 10 novembre, ma che iniziò le sue pubblicazioni regolari il 18 novembre e divenne subito, nelle mani della Luxemburg, uno strumento al tempo stesso di agitazione e di formazione di idee.

Il tema di fondo della battaglia in corso era sul carattere della rivoluzione: socialista o no? Per la Luxemburg non vi era alcun dubbio[1]: la guerra mondiale era stata lo sbocco necessario della politica imperialistica e l’imperialismo era l’espressione normale del capitalismo giunto a un certo grado di sviluppo; l’alternativa perciò era fra una rivoluzione socialista o una continuazione della politica imperialistica di cui essa aveva già scritto, nella Juniusbroschüre, che avrebbe portato ad una dittatura e ad una nuova guerra mondiale. Solo una rivoluzione socialista avrebbe potuto impedire queste conseguenze, solo essa avrebbe potuto assicurare all’umanità uno sviluppo democratico e pacifico. D’altra parte era evidente che la classe operaia, pur avendo in parte sotto la guida della socialdemocrazia seguito la politica imperialistica, era la sola classe immune da responsabilità dirette e al tempo stesso quella che aveva dovuto subire le conseguenze e i sacrifici della guerra contro la quale era venuta intensificando la sua lotta: essa aveva perciò titoli a porre la sua candidatura al potere.

Dietro al problema del carattere della rivoluzione appariva perciò subito il problema del potere: se la rivoluzione doveva avere natura e scopo socialisti il potere doveva passare interamente nelle mani dei lavoratori. Il 9 e il 10 novembre i comandi della macchina statale giacevano in pezzi: il kaiser aveva abdicato, il governo si era dimesso passando la direzione della cosa pubblica al capo della socialdemocrazia, l’esercito batteva in ritirata sconfitto, la grande borghesia aveva paura delle sue responsabilità e non osava alzar subito la testa. D’altra parte le masse operaie, scese in piazza e nelle strade, erano di fatto padrone in quei giorni del paese. Sarebbe stato facile in quel momento proclamare la repubblica socialista, ciò che non avrebbe naturalmente evitato la resistenza della borghesia e la guerra civile ma avrebbe subito spinto le masse alla lotta per il consolidamento del potere. Ma i socialdemocratici, che si erano compromessi con la guerra imperialistica e che avrebbero avuto anch’essi dei conti da rendere al paese, si opposero recisamente a questi sviluppi e cercarono di sfruttare a proprio vantaggio la vittoria popolare. Il compromesso ch’essi raggiunsero il io novembre con il partito socialdemocratico indipendente[2] è in pratica la chiave dei futuri sviluppi. I socialdemocratici di destra ebbero infatti l’abilità di non negare lo scopo socialista della rivoluzione, con il che evitarono di mettersi in urto con l’aspirazione profonda delle masse e, in particolare, con il proletariato berlinese fortemente radicalizzato e diretto da socialisti indipendenti di sinistra, ma pretesero di affidarne l’attuazione ad una futura assemblea costituente, con il che guadagnavano il tempo necessario a consolidare l’alleanza con tutte le forze conservatrici e a salvare l’ordine costituito lasciando passare il momento più pericoloso della tempesta rivoluzionaria. Fu cosi che essi si opposero alla proclamazione immediata della repubblica sociale pur dichiarando che questa era il loro obiettivo di partito, e così pure si opposero a che tutto il potere fosse attribuito ai consigli degli operai e dei soldati perché ciò contraddiceva ai principi democratici. Accettando il compromesso gli indipendenti arrestavano praticamente lo slancio rivoluzionario senza mettersi in condizione di utilizzare il tempo a proprio vantaggio.

Nasceva così il io novembre il nuovo regime con un governo provvisorio (Rat der Volksbeauftragten) composto di tre socialdemocratici maggioritari (Ebert, Scheidemann e Landsberg) e tre indipendenti (Haase, Dittmann e Barth) di cui Ebert e Haase erano copresidenti, e con una giunta esecutiva (Vollzugsrat) nominata dall’assemblea dei rappresentanti degli operai e dei soldati, composta di sei membri per ciascuno dei due partiti, rappresentanti dei consigli operai, olre 12 rappresentanti dei soldati di Berlino, senza che fosse chiara la delimitazione delle sfere di competenza. In pratica la giunta esecutiva ebbe scarso o nessun potere effettivo e il governo rimase il solo effettivo detentore dell’autorità, ma in seno al governo si delineò la netta prevalenza dei socialdemocratici di destra, grazie ai legami ch’essi strinsero e agli appoggi che ottennero dalla burocrazia, dall’esercito e da tutte le forze conservatrici del paese. Né d’altra parte i socialisti indipendenti membri del governo opposero seria resistenza; anzi su alcuni temi di fondo, e per esempio sulla lotta contro i consigli operai, l’indipendente Barth non fu certo da meno dei maggioritari. Quella stessa diarchia di potere che due anni prima in Russia aveva portato i Soviet a rovesciare il governo provvisorio, si risolse invece rapidamente in Germania a beneficio del governo, anzi di un’ala di esso che riuscì a manovrare la situazione in modo da rimandare ogni riforma alla futura assemblea costituente e riuscì a preparare le condizioni per togliere alla stessa assemblea qualsiasi carattere di pericolosità rivoluzionaria.[3]

Il problema rimase comunque aperto nelle settimane che seguirono il io novembre, e netta fu naturalmente la presa di posizione della Luxemburg in favore del potere alla classe operaia e contro l’assemblea costituente.[4] Ma, date le idee di Rosa Luxemburg sulla presa del potere e sulla dittatura del proletariato, essa non poteva immaginare la presa del potere come un semplice putsch: nella sua concezione doveva essere la maggioranza, anzi possibilmente la grande maggioranza, della classe operaia a conquistare il potere. Per cui il problema della conquista del potere da parte del proletariato s’intrecciava con l’altro della necessità di guadagnare ad una volontà rivoluzionaria la maggioranza dei lavoratori, cioè la necessità che gli spartachiani diventassero la guida effettiva del proletariato. Ma nonostante la grande popolarità di cui godevano i leader della Lega Spartaco per il loro coraggioso atteggiamento contro la guerra, questa prospettiva era ben lungi dal realizzarsi: una leadership presso un proletariato che ha una lunga tradizione di organizzazione non si ottiene senza l’adesione di un vasto strato di quadri intermedi che sono quelli che di fatto mobilitano e guidano le masse. E i quadri intermedi erano rimasti legati all’organizzazione di partito: a Berlino in maggioranza al partito indipendente e alla sua ala sinistra rappresentata dai “revolutionäre Obleute”, nel resto della Germania, salvo qualche città, in prevalenza al vecchio partito. E così il problema della leadership da conquistare in seno alla classe operaia si trasformava nel problema della collocazione degli spartachiani: tendenza autonoma all’interno del partito indipendente, o partito separato?

Rosa Luxemburg e Leo Jogisches propendevano piuttosto per la prima soluzione: Rosa diffidava dell’estremismo rivoluzionario staccato dalle masse, temeva i colpi di mano e le avventure; credeva viceversa nella capacità delle masse di educarsi attraverso la lotta e voleva poter rimanere in contatto permanente con esse durante lo sviluppo della lotta stessa.[5] I mesi di novembre e dicembre sono perciò caratterizzati da una complessa battaglia che si articola in questo modo: lotta per il potere ai consigli degli operai e dei soldati e contro la convocazione della costituente, lotta per dare un contenuto socialista agli obiettivi della rivoluzione e quindi contro il governo che vi si oppone, lotta per portare il partito socialista indipendente su queste posizioni, infine lotta all’interno dello stesso gruppo spartachista contro le tendenze estremistiche e contro le avventure, prima che una certa maturazione rivoluzionaria si fosse prodotta in seno alla classe lavoratrice.

Purtroppo nessuno di questi obiettivi poté essere raggiunto. Il primo congresso dei Consigli degli operai e dei soldati tedeschi (Berlino, 16-21 dicembre), nel quale i socialdemocratici maggioritari ebbero la maggioranza assoluta e gli spartachiani non ebbero che una rappresentanza insignificante (288 socialdemocratici e go indipendenti di cui io spartachiani e poco più di un centinaio di altri) approvò la convocazione dei comizi elettorali per la costituente al 19 gennaio, accettando praticamente la propria autoliquidazione voluta dal governo. Naturalmente in quelle condizioni era difficile dare obiettivi socialisti alla rivoluzione se non attraverso una graduale intensificazione della battaglia e una graduale elevazione della coscienza e della maturità delle masse, ma questa battaglia trovava ostacolo in seno al partito socialista indipendente, diviso fra una corrente estremista che si appoggiava sugli operai berlinesi e una maggioranza oscillante che tendeva a mantenere l’alleanza di governo con i socialdemocratici di destra e quindi a condividerne le responsabilità controrivoluzionarie.

Le quali si accrebbero notevolmente quando cominciò l’offensiva governativa contro le forze di sinistra che diede luogo a scontri violenti fra forze di governo e la divisione popolare di marina nei giorni 23 e 24 dicembre. “Poiché i leader del partito socialista indipendente rimanevano assolutamente passivi di fronte all’attacco ai marinai da parte del governo e non mostravano alcuna intenzione di ritirarsi dal governo, la Lega Spartaco fu costretta a rompere completamente con i leader del partito socialista indipendente. Tuttavia fu indirizzata una lettera al comitato centrale che criticava la politica del partito e richiedeva la convocazione di un congresso. Si domandava una risposta entro il 25 dicembre ( ...) Dato che i leader del partito socialista indipendente il 25 dicembre non avevano ancora inviato alcuna risposta, ma d’altra parte, avevano dichiarato il 24 su Freiheit[6] che, date le difficoltà di viaggio e comunicazione e la campagna elettorale, non era possibile convocare il congresso, fu deciso di riunire una conferenza nazionale della Lega Spartaco il 29 dicembre, in cui la Lega avrebbe dovuto decidere il proprio atteggiamento nei confronti della crisi del partito indipendente, del programma, dell’assemblea costituente e della conferenza internazionale socialista di Berna”.[7]

La conferenza si riunì in forma privata il 29 dicembre con 83 delegati per deliberare sulla costituzione di un partito separato, che fu effettivamente decisa, dopo breve dibattito, con soli 3 voti contrari. Vi furono divergenze di opinione circa il nome: Jogisches e Luxemburg preferivano “Partito socialista operaio”, altri “Partito comunista”, in definitiva fu adottato il nome di “Partito comunista di Germania (Lega Spartaco)”.[8] Il 30 dicembre la conferenza proclamò ufficialmente la costituzione del nuovo partito e si trasformò in congresso di fondazione dello stesso. Fu nella seconda giornata del congresso, e cioè il 3I dicembre, che Rosa Luxemburg, relatrice sul programma, pronunciò il discorso che qui è tradotto dal testo pubblicato successivamente in opuscolo.[9]

Il discorso espone con molta chiarezza il complesso delle idee che Rosa Luxemburg aveva sostenuto nel corso delle precedenti settimane: programma di realizzazione socialista secondo l’insegnamento di Marx “in cosciente opposizione” al programma di Erfurt, cioè “alla separazione delle rivendicazioni immediate cosiddette minime (...) dallo scopo finale socialista considerato come un programma massimo”, denuncia delle illusioni sul carattere e la volontà socialista dei due partiti governativi (socialdemocratico maggioritario e indipendente) e dimostrazione del loro carattere controrivoluzionario e della loro funzione di restaurazione capitalistica; necessità di passare a una seconda fase rivoluzionaria, liberata da ogni illusione miracolistica, in cui il proletariato deve mirare a rafforzare progressivamente il potere pubblico attraverso i consigli costruendone e rafforzandone l’organizzazione dal basso verso l’alto e contemporaneamente deve estendere e sviluppare le sue rivendicazioni economiche e politiche in un intreccio continuo e in una spirale ascendente che serva anche a rinsaldare la coscienza di classe e la capacità democratica dei lavoratori. Nel quadro di questo discorso s’intende meglio il significato della posizione che essa aveva assunto e difeso il giorno prima, insieme con Liebknecht, Jogisches ed altri, rimanendo però soccombente nel voto, circa la partecipazione alle elezioni della costituente.[10] Essa era profondamente convinta, e anche questa volta gli avvenimenti le han dato tragicamente ragione, che non sussistessero le condizioni per una conquista violenta del potere in Germania dove gli spartachiani erano minoranza e dove, al di fuori di Berlino, il vecchio ordine era rimasto ancora in gran parte in piedi e le campagne non erano affatto conquistate alla rivoluzione. Perciò essa considerava che si dovesse contare su uno sviluppo ancora piuttosto lungo del processo rivoluzionario nel corso del quale la coscienza rivoluzionaria delle masse avrebbe dovuto maturare, e riteneva che la lotta elettorale per l’Assemblea costituente sarebbe stata un momento di questo processo di maturazione; rifiutarlo significava implicitamente rinunciare a una strada e propendere per l’altra, quella dell’assalto violento. Per la stessa ragione essa sarà contraria, nei giorni della rivolta in cui perderà la vita, alla parola d’ordine “via il governo Ebert-Scheidemann”, che le sembrava una parola d’ordine non suscettibile ancora di raccogliere sufficienti consensi in Germania e capace quindi di gettare il proletariato in un vicolo cieco. Purtroppo, per le strane contraddizioni dei congressi, si approvò alla unanimità il programma proposto dalla Luxemburg, ma si decise una linea politica contraria: la non partecipazione alle elezioni con lo sbocco tragico delle giornate di gennaio quando i lavoratori rivoluzionari di Berlino si lasciarono trascinare dalla provocazione governativa e furono sanguinosamente battuti. Il pericolo che Rosa Luxemburg aveva dal novembre in poi paventato e denunciato, cioè il prevalere dell’estremismo avventuristico sulla strategia rivoluzionaria, che corrispondeva al disegno degli Ebert e dei Scheidemann per frustrare la rivoluzione socialista, si verificò in pieno.[11]



[1] “L’abbattimento del dominio capitalistico, la realizzazione dell’ordine socialista: questo e nulla di meno è il tema storico della presente rivoluzione” (Der Anfang in Rote Fahne del 18 novembre 1918, ora in ARS Il, p. 594).

[2] Il Partito socialdemocratico indipendente di Germania (Unabhängige Sozialdemokratische Partei Deutschlands) era stato fondato al congresso di Gotha (5-8 aprile 1917) da parte dei socialisti dissidenti dalla politica bellicista del partito che erano stati già dagli organi direttivi dichiarati fuori del partito. La destra del nuovo partito era formata da Kautsky e Bernstein; all’estrema sinistra erano gli spartachisti che aderirono non senza esitazioni e polemiche interne ma conservarono una propria autonomia di gruppo. Al centro erano uomini come Haase e Ledebour. La linea del partito non fu rivoluzionaria ma piuttosto centrista; tuttavia le maestranze berlinesi e i loro capi, che militavano fra gli indipendenti, presero una posizione rivoluzionaria.

[3] Sul conflitto di poteri in questo periodo in Germania cfr. la ricostruzione di H. E. FRIEDLANDER, Conflict of revolutionaryauthorithy: Provisional Government vs. Berlin Soviet, November-December 1918, in International Review of Social History, 1962, 1962, 2, pp. 163-176.

[4] Cfr. in particolare gli articoli Die Nationalversammlung e Nationalversammlung oder Räteregierung, in Rote Fahne, rispettivamente del 20 novembre e 17 dicembre 1918, ora in ARS, 11, rispettivamente pp. 603 e 640.

[5] L’opposizione della Luxemburg alla scissione è stata spesso criticata come una delle cause dell’insuccesso della rivoluzione tedesca. E certo la mancanza di un partito autonomo rivoluzionario, creato da tempo e già organizzato con i propri quadri, ha pesato negativamente sugli sviluppi della situazione. Tuttavia il problema è meno semplice di come sia comunemente presentato. Infatti nelle condizioni della socialdemocrazia tedesca, partito unico della classe operaia, una scissione era estremamente difficile da realizzare e non è detto che una scissione prematura non portasse ad un isolamento maggiore. I rivoluzionari di Brema che non aderirono al partito degli indipendenti e rimasero autonomi non riuscirono a costituire un partito e probabilmente gli spartachiani, anche se fossero rimasti fuori del partito, non avrebbero fatto più di quanto con una organizzazione autonoma entro il partito hanno potuto fare mantenendo i contatti con le masse dei socialisti indipendenti. Finché la Luxemburg ha potuto sperare che l’ondata rivoluzionaria avrebbe trascinato queste masse non ha voluto rompere con il partito, anche perché temeva il rischio delle avventure disperate. La scissione significava rinuncia alla prospettiva rivoluzionaria immediata, e nel dicembre 1918 questa rinuncia non appariva ancora giustificata. Ma dal momento che si apriva un nuovo capitolo, con un partito nuovo, bisognava avere il tempo di lottare lungamente per poter acquistare maggiore influenza fra le masse di quanta il nuovo partito ne avesse alle sue origini. Donde la convinzione della Luxemburg che bisognasse partecipare alle elezioni e la sua contrarietà all’insurrezione di gennaio, ma le sue opinioni non prevalsero.

[6] Freiheit era il titolo del giornale organo dei socialisti indipendenti.

[7] W. PIECK, The Founding of the Communist Party of Germany in International Press Correspondence, IX (1929), n. 1.

[8] Ibid. Erano presenti al congresso, oltre agli 83 delegati, 3 rappresentanti della Lega rossa dei soldati, un rappresentante della gioventù e 16 ospiti.

[9] R. LUXEMBURG, Rede zum Programm gehalten auf Gründungsparteitag der Kommunistischen Partei Deutschlands (Spartakusbund) am 29-31 Dezember 1918 zu Berlin, (Berlino, 1919).

[10] La tesi partecipazionista era la tesi del comitato centrale. “Ma le ragioni e le argomentazioni avanzate a favore della partecipazione non convinsero la maggioranza dei delegati che espressero invece la convinzione che quello non era tempo per elezioni e che la lotta contro l’Assemblea nazionale doveva esser portata avanti per mezzo di scioperi di massa e mitragliatrici; la partecipazione alle elezioni, si sosteneva, avrebbe solo confuso i lavoratori e li avrebbe distratti dalla lotta. Quando la questione fu messa ai voti, solo 15 furono in favore della partecipazione e 62 contrari. I compagni Luxemburg e Jogisches furono molto delusi di questo risultato; essi vedevano in questo atteggiamento una mancanza di comprensione per i compiti del partito e temevano che la prevalenza di questi sentimenti avrebbe portato a un pericoloso sviluppo del partito. Ma essi non permisero che questo si trasformasse in una scissione dei partecipanti alla conferenza, perché erano convinti che i membri del partito si sarebbero presto accorti dell’errore della loro decisione” (W. PIECK, art. cit.).

[11] “Essi (i Scheidemann e gli Ebert) con piena coscienza e chiarezza di propositi distorcono i nostri scopi socialisti in avventura sottoproletaria, per trarre in inganno le masse” (Das alte Spiel in Rote Fahne del 18 novembre 1918, ora in ARS, II, p. 599).